Come si può pretendere che chiunque apra un’attività non si possa permettere il lusso di cadere (fallire)

Si fa presto a parlare di fallimento… La questione merita qualche considerazione in più. Ed oggi ti propongo le mie riflessioni oltre a condividere una mia esperienza di errore che mi ha insegnato una lezione molto importante.

Photo by David Straight on Unsplash

Cominciamo.

Ricordo che un tempo, quando non esistevano ancora le scuole pubbliche dei mestieri, i genitori dei ragazzini che non volevano più studiare, o non potevano permetterselo, andavano da un amico artigiano o negoziante a chiedere di assumere il figlio. Era il genitore che pagava chi insegnava il mestiere.

Ad accordi presi, il ragazzo cominciava l’apprendimento e questo non era soltanto riguardante il mestiere, ma dava anche l’opportunità di osservare e imparare l’organizzazione, la pulizia, la comunicazione con i clienti, la contabilità. Insomma, tutto ciò che il padrone svolgeva il ragazzo poteva apprenderlo.

All’epoca i ragazzi lavoravano a partire dall’età di 13 anni, ciò vuol dire che a 20 anni si avevano già 7 anni di esperienza in quel campo, e il ripetere ogni giorno lo stesso lavoro fa sì che questo lo si assimili fino a far parte integrante della persona.

Certo, c’erano anche ragazzi che non ne avevano voglia e quindi provavano un po’ tutti i mestieri; ma quelli che si impegnavano, all’età fra i 18 e i 21 anni solitamente cercavano la loro indipendenza. Vale a dire che aprivano il loro laboratorio o il loro negozio ed avendo già una esperienza quasi decennale risultava difficile avere un fallimento. Al contrario, per chi non aveva avuto la costanza di tenersi un lavoro che gli piacesse era più probabile affrontare un fallimento.

Questo cosa vuol dire?

Presto detto.

L’essere umano più fa una cosa più diventa bravo in quella cosa.

Ti racconto una mia esperienza.

Quando andavo a scuola guida nel 1974, per me la prima guida fu demoralizzante. Imparare e capire che potevo sincronizzare mani e piedi …schiaccia la frizione e quando l’hai schiacciata metti la marcia e nello stesso tempo sappi dove sono le marce… E se sfortunatamente avevi come me la 500 dovevi imparare a fare la doppietta (oggi non si sa neppure cosa sia…).

Non avrei più voluto entrare in un’auto! Me ne tornai a casa avvilita e silenziosa, mentre mio padre (appassionato di rally) felice mi domandò com’era andata e se mi fosse piaciuto. Gli risposi che ero una frana e che sarebbe stato meglio se avessi smesso.

Ebbene, lui non volle assolutamente accettare la mia presa di posizione e mi obbligò a continuare.

La seconda volta fu ancora come la prima; la terza non molto differente… ma la quarta cominciai a capire… E dalla quinta lezione in poi vedevo il miglioramente e cominciava a piacermi! Tornavo a casa felice raccontando tutto quello che avevo fatto e dove ero andata.

Arrivai all’esame di teoria e tutto andò bene, ma ahimè nell’intervallo di tempo fra l’esame di teoria e quello della pratica, successo che una mattina di novembre un amico di mio papà sotto sua richiesta mi fece guidare fino ad un paesino dell’entroterra ligure.

Erano i primi freddi e ricordo che lui mi avvisò: “C’è la brina, vai piano…”.

Tutto andò perfettamente, risalendo la strada arrivammo in paese, girammo nella piazza e tornammo indietro giù verso il mare. Scendere non è come salire, infatti mi ricordai dell’avvertimento c’è la brina, e così frenai per andare più piano…

Ecco l’errore!

Non si frena sulla brina, è come frenare sul ghiaccio. Io però non ne avevo fatto ancora l’esperienza e la bella 500 ha fatto il suo testacoda. L’amico di mio padre si buttò sopra di me per prendere il volante e il comando dell’automobile che si girò contro il muro e poi contro il parabrezza della strada. Ancora grazie che non finimmo nel burrone.

Un’ora dopo chiamai mio padre dall’ospedale. Era finita tutto sommato bene: il suo amico con tre punti sulla fronte, io con qualche ammaccatura e la 500 dal carrozziere.

La mia padronanza nella guida era perfetta ma non per tutto. Giuro che immediatamente ho imparato a non frenare sulla brina, né sul ghiaccio né sulla neve, né sul bagnato e soprattutto sull’olio!

Oggi i giovani escono dalle scuole preparati nel mestiere ma sprovvisti di competenze di tutto ciò che contorna quel dato lavoro.

Sarebbe come ordinare al ristorante una bistecca, e quando ci viene servita ci accorgiamo che è senza alcun contorno e senza pane; soltanto cotta come si deve e stop.

Nei corsi di formazione manca una parte: manca la pratica continua.

Lavorare soltanto un mese in estate o una settimana qua e là come stagista non è sufficiente, non si ha il tempo di osservare l’insieme e di integrarlo. E soprattutto nelle settimane successive tante cose vengono dimenticate.

E’ normale che se non si imparano a scuola, queste cose pratiche ce le insegna la vita con le nostre cadute che ci servono da apprendimento per tenerci in equilibrio e darci la stabilità.

Ti racconterò prossimamente come alcune persone sono arrivate al vertice dopo qualche fallimento.

Intanto ora comincia a pensare che quello che oggi consideri un fallimento domani lo valuterai come un’esperienza di allenamento. Esattamente come un bambino quando inizia a camminare. Alla prima caduta, se pensasse che è un fallimento non si rialzerebbe più e oggi avremmo tutti gli esseri umani sulle sedie a rotelle.

Il bambino grazie alla sua voglia di camminare si rialza, rafforzando così i suoi muscoli e la mente, e ricomincia… Ricadrà ma non si arrenderà e non si vergognerà; al massimo se si farà più male piangerà per il dolore ma ancora una volta non demorde e continua sempre più forte fino a correre. Allora riderà e sarà felice di aver superato tante prove, tante difficoltà, tanto dolore… ma ce l’ha fatta!

Possiamo tornare ad essere come bambini, liberandoci dalla paura e dall’idea del fallimento e considerando invece le cadute come opportunità di crescita e di apprendimento.

E tu cosa ne pensi?

Clara

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