Oggi voglio condividere un mio vecchio articolo sull’importanza di dire le cose come stanno.
Contiene dei suggerimenti e delle riflessioni che possono tornare sempre utili.
Buona lettura!
Clara
Tutti sappiamo che tutti pensiamo. Che ci si faccia attenzione oppure no, che vogliamo saperlo o no, gli altri si fanno un’idea di noi.
E’ inutile far finta di pensare che tutti sono felici e che quello che diciamo vada bene a chiunque.
A volte siamo talmente presi nella nostra convinzione e non ci sfiora neanche l’anticamera del cervello che possa esserci qualcuno in disaccordo con noi.
Per cominciare, mettiamoci nella testa che tutti hanno la capacità di formulare dei pensieri, e quindi pensano. E se pensano si possono fare delle idee su di noi, su quello che diciamo e su quello che facciamo.
Soprattutto le persone che ci prestano attenzione sono le più pericolose, perché sono sempre attente a notare se siamo coerenti con noi stessi, se manteniamo quello che predichiamo… E’ da qui che scaturisce la fiducia che ripongono in noi.
Il mio suggerimento per tutti è di dire sempre quello che pensiamo, perché solo attraverso le critiche si può migliorare.
Le critiche portano a prendere decisioni, magari ci si arrabbia ma poi ci si ragiona e si può cambiare opinione.
Facciamo il caso che io abbia una fabbrica di cioccolatini e che nonostante il mio impegno giornaliero e l’uso di prodotti di prima qualità non riesca a vendere a sufficienza per affrontare tutte le spese.
Tutti i miei amici, per farmi piacere, mi dicono che i miei cioccolatini sono buonissimi, e ogni tanto, sempre per farmi piacere, ne comprano un pacchetto.
Sempre gli stessi amici mi compiangono e dando la colpa al destino mi dicono: “Non è colpa tua che non riesci a vendere, sappiamo che sei onesto, pulito, e adoperi dei prodotti di prima qualità, sei solo sfortunato!“. Ascoltando argomentazioni del genere, mi compiango a mia volta, mi convinco di essere sfortunato e non mi sforzo di sapere altro.
Se invece mi dicessero la verità, del tipo:
“Guarda, sappiamo che usi prodotti di prima qualità, ma i tuoi cioccolatini sono tropo amari, mancano di un po’ di gusto, dovrebbero essere più piacevoli al palato, forse anche un po’ più cremosi” e via dicendo, io potrei prendere in considerazione l’ipotesi che non è colpa del destino ma che è il mio gusto a non essere condiviso.
Inutile dire che se io voglio stare sulla mia posizione dicendo che non è vero, mi offendo e mi arrabbio, continuerò a non vendere, ma se invece prendo le critiche come dei suggerimenti e provo a cambiare formula di cioccolatini potrei arrivare a scoprire che le vendite aumenterebbero considerevolmente.
- Se resto incollato sui miei gusti e sulle mie idee, rimango in un vicolo cieco.
- Se accetto e trasformo le critiche in suggerimenti utili per cambiare e andare incontro ai gusti della clientela mi pongo in una corsia di sorpasso, di me stesso e dei miei limiti.
Voglio raccontarti una storia, accaduta nel 1997.
All’epoca vivevo a Geraardsbergen, un paesino delle Fiandre. Avevo in terapia una cliente che trovandosi bene con me mi ha presentato alla sua amica del cuore, che chiamerò signora Susanne, la quale non accettava di invecchiare dicendo a tutte le persone che le rendevano visita che voleva morire. Anche ai suoi figli ripeteva la stessa frase. La camera, con il tempo, si era trasformata in camera stile ospedale.
Quando mi presentai insieme alla sua amica, notai che per fare bella figura la signora Susanne si era messa una parrucca e le ciglia finte, si era truccata e mi accolse con un sorriso.
Il mio pensiero fu subito: “Questa signora sta recitando per essere coccolata e ricordata, nel futuro, come la giovane più bella del paese (perché così era stata)“. Arrivò in visita anche la figlia, che se ne andò con la tristezza negli occhi. Nel frattempo venne anche la governante che le chiese cosa desiderasse per cena, e lei imperterrita rispose come a sua figlia: “Niente, voglio morire!“.
Lì per lì non dissi niente, mi limitai ad ascoltarla e la signora Susanne mi diede un appuntamento tre giorni dopo.
Uscimmo dalla stanza e la sua amica mi presentò al marito che malgrado fosse molto più anziano lavorava ancora al pc ed aveva incarichi politici importanti.
Poi salutammo anche il marito, avvertendolo che sarei ritornata per la moglie tre giorni dopo.
Tre giorni dopo mi recai dalla signora Susanne ma con mia sorpresa quando aprii la porta, ella (con parrucca, ciglia finte e truccata) mi disse: “No, no, no… oggi non mi sento bene e voglio morire!“.
In quello stesso istante decisi di dire quello che pensavo, decisi che era ora di far rivivere e rimettere in piedi questa donna che da dieci anni non usciva più dalla sua stanza.
Le dissi semplicemente la verità, pur sapendo che avrei potuto perdere lei come cliente e forse anche la mia cliente sua amica.
Semplicemente le dissi: “Signora Susanne è sicura che vuole veramente morire?“. E lei: “Si voglio morire!“. “Bene, allora prenda una buona volta la decisione di chiudere questa dannata porta e getti la chiave dalla finestra“. Notai che la rabbia cominciava a salire, già trapelava dal suo volto, ma io continuai: “E’ ora di finirla con questa farsa, tutta Geraardsbergen non aspetta altro che fare i suoi funerali. Tutti si stanno domandando che cosa aspetta a decidersi e stanno tutti ridendo di lei. Non pensa ai suoi figli?“.
Susanne diventava sempre più paonazza, e in preda alla furia mi rispose:
“Certo che ci penso.. loro si che mi vogliono bene!“. Non aspettavo altro, per poterle dire “Ah, è per questo che lei li tortura dicendo loro che vuole morire, sa una cosa? Lei non li ama affatto, perché se li amasse , quando si presentano a casa e le chiedono come sta, risponderebbe che sta bene, si alzerebbe da questo benedetto letto e andrebbe a cena fuori con loro, godendo di questi istanti!“.
A questo punto cacciò un urlo. “Fuori di qui!!!” mi ordinò a pieni polmoni, rinforzando l’ordine con il dito indice rivolto verso la porta. Salutandola me ne andai.
Scesi le scale ed il marito mi chiese quando sarei ritornata. Gli risposi che sicuramente mai più sua moglie avrebbe voluto vedermi.
Qualche giorno dopo incontrai la signora Stepè, l’amica di Susanne, che mi chiese come stava andando. “Credo che non vorrà più vedermi perché ho osato dirle la verità” le risposi. E lei: “Quale verità?“. “Quella che non le avete mai detto voi tutti, quella verità che l’avrebbe rimessa in piedi, invece di coccolarla facendola crogiolare nella sua patologia“.
La signora rimase un attimo senza parole e poi affermò: “Ha ragione Clara, a volte la paura di essere giudicati o la paura di perdere un’amica ci fa agire da vigliacchi, ha ragione Clara“. Segui per circa un’ora il silenzio, bevemmo il caffè con i biscotti ma non parlammo.
Non finisce qui. Due settimane dopo la signora Stepè si recò dalla sua amica Susanne e con suo stupore la trovò in piedi che stava stirando. Era guarita, il seme della rabbia che avevo piantato in lei si era trasformato in forza e ribellione. La dignità personale aveva avuto la sua vittoria e ora più nessuno rideva di lei, ed i suoi figli erano felici di aver ritrovato la mamma di un tempo.
Appena arrivata a casa, la signora Stepé mi telefonò per riferirmi la bellissima notizia.
Susanne non mi ha più rivolto la parola. Ma quale importanza può avere il suo silenzio nei miei confronti, se le mie parole e il mio coraggio di dire le cose come stavano, le hanno restituito la vita?
Di cosa ha bisogno la gente per dire ciò che pensa?
Quali sono le domande che si pone quando vorrebbe esprimere un suo parere?
Di cosa ha paura?Teme…
- di essere giudicata?
- di ferire?
- di non essere più accettata?
- di passare per un persona cattiva?
- di…
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